Se l’architettura fosse una donna
- Luca Brizi

- 27 ott
- Tempo di lettura: 1 min

Se l’architettura fosse una donna, non vivrebbe nei calcoli ma nei respiri.Non sarebbe solo un insieme di linee rette, ma una carezza che prende forma nello spazio.Sarebbe curva, desiderio, promessa di accoglienza.Sarebbe l’incontro tra la materia e il sogno di chi la disegna.
Ogni suo muro avrebbe la memoria della pelle,ogni finestra un battito d’occhi sul mondo.L’architetto non la costruirebbe: la ascolterebbe,come il marinaio che ascolta la sua nave —una compagna che si lascia guidare solo da chi sa riconoscerne la voce segreta.
In lei la funzione si dissolve nel gesto,l’ornamento non è aggiunta ma respiro,e la bellezza non è un fine ma una conseguenza naturale.Non c’è dominio nella sua forma, ma dialogo.Non c’è imposizione, ma nascita.
L’architettura-donna non si offre a chi la vuole possedere,ma a chi la sa comprendere.Si lascia attraversare dalla luce, muta con le stagioni,accoglie il tempo invece di difendersene.È viva — e come ogni essere vivo, imprevedibile.
In lei si uniscono le radici della terra e la leggerezza dell’aria,la precisione del progetto e l’abbandono dell’istinto.È l’eterno equilibrio tra controllo e vertigine,tra ordine e desiderio.
E forse è per questo che continuiamo a cercarla:perché nel fondo di ogni spazio che creiamo,cerchiamo sempre una presenza —una voce che ci sussurra che abitare, in fondo,è un atto d’amore.




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